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Intervista ad Andrzej Sapkowski

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Intervista ad Andrzej Sapkowski a cura di Daniele Cutali per Sugarpulp MAGAZINE

Benvenuto sulle pagine di Sugarpulp Magazine, Sig. Sapkowski. È inutile dirle quanto per noi sia un onore intervistare un autore come lei, pilastro della fantasy europea e mondiale, perciò passiamo subito alle domande.

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L’Editrice Nord, che pubblica le sue opere in Italia, sta rilasciando in ordine cronologico tutto ciò che riguarda Geralt di Rivia. Il Guardiano degli Innocenti (Ostatnie życzenie) e La Spada del Destino (Miecz przeznaczenia) raccolgono in totale tredici racconti, i primi da lei scritti, che introducono il mondo, la storia, la cosmogonia e il background di Geralt.

Geniale il cambio del punto di vista: le vicende di Geralt inframezzate dall’ossatura de La Voce della Ragione ne Il Guardiano degli Innocenti, ne fa un capoalvoro di narrativa e di caratterizzazione dei personaggi. Lei ha utilizzato, per esempio, nel suo primo racconto Lo Strigo (Wiedźmin) la figura del mostro Strige per denunciare quanto ci sia di sbagliato nell’incesto, ma anche Geralt non è un personaggio moralmente immacolato. Come fa a conciliare le due cose per poi arrivare alla catarsi finale?

Chiariamo una cosa: non condanno niente o nessuno. Sono uno scrittore, non un predicatore o un commentatore sociale. Wiedźmin è stata concepita come una nuova versione di una fiaba polacca nella quale la figlia del re diventa un mostro a causa dell’incesto dei genitori, come punizione: ho semplicemente riutilizzato l’idea.

E, se lei si ricorda bene, lo strigo nella storia spiega che non è vero: l’incesto non è la vera causa della trasformazione. Le altre cose che lei ha menzionato chiamandole “capolavori” sono semplicemente il risultato di tanto lavoro. E del talento.

Anche il racconto L’Ultimo Desiderio (Ostatnie życzenie) è una lunga metafora sul fare molta attenzione a ciò che si brama. La strada per raggiungere a tutti i costi la realizzazione dei propri desideri può essere lastricata di pericolosi djinni, ovvero la mancanza di scrupoli. Qui incontriamo per la prima volta la maga che gli cambierà tutta la vita: Yennefer di Vengerberg, che sa essere anche una maga molto pericolosa. Tra i due nasce l’amore ma non crede per Geralt sia davvero troppo pericoloso continuare a bramare una donna che scopriamo essere non troppo affidabile?

Ah! È questo che rende la storia interessante, non le pare? Essendo un grande lettore di fantasy, certe volte trovo noiose o disgustose le storie nelle quali l’eroe può fare sesso con qualunque donna voglia, perché tutte le donne non vedono l’ora di fare sesso con lui. In quelle storie le donne sono il premio dell’eroe, la ricompensa del guerriero, e in quanto tali non hanno niente da dire, sanno solo ansimare e svenire tra le forti braccia dell’eroe.

Io sono convinto che solo nel contatto con l’altro sesso – che ci sia attrazione, affetto, confronto o opposizione – un eroe può crescere del tutto. Quando ho creato il personaggio di Yennefer volevo che Geralt crescesse del tutto, ma poi ho deciso di complicare un po’ le cose. Ho creato un personaggio femminile che rifiuta di essere uno stereotipo del fantasy. Tutto ciò per far piacere al lettore.

Ne Il Limite del Possibile (Miecz przeznaczenia) scopriamo che nel mondo di Geralt esistono anche i Draghi, come in ogni buon fantasy. Anche in questo racconto la metafora è che c’è un limite a tutto, anche se si è una creatura di potenza e magia mitiche. Perché nel suo mondo i Draghi sono creature nobili e, per il codice etico degli strighi, da non uccidere?

Anzitutto, come si può leggere in L’ultimo desiderio (Ostatnie życzenie), non esiste un vero codice etico degli strighi, almeno non ufficialmente, nulla che abbia valore legale. Geralt ha creato un suo proprio codice morale. Per evitare di dover compiere azioni che personalmente considera sbagliate, immorali o ignobili, piuttosto di rifiutare direttamente usa la diplomazia e dice “Il mio codice etico da strigo me lo impedisce”.

Per quanto riguarda i draghi, è un aspetto tipico del fantasy: i draghi sono creature nobili, esseri razionali, unici e rari. E nel mio libro sono quasi estinti. Geralt considera sbagliato ucciderli e non accetta contratti che lo richiedano, tutto qui.

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Gli Elfi sono sempre stati perseguitati e cacciati da tutti i Popoli del Nord. Si alleano quindi con l’Impero di Nilfgaard quando questi si muove per invadere i Regni Settentrionali. Ma gli Aen Seidhe e gli Scoia’tel rimangono sempre indipendenti e non si sottometteranno mai agli Umani. Perché questa alleanza, allora? È soltanto sete di vendetta o c’è anche del razzismo nel loro carattere?

Nei miei libri, gli elfi si considerano migliori degli umani dal punto di vista fisico e intellettuale, ritengono la loro cultura e tradizione più evolute e complesse: ai loro occhi, gli umani sono barbari primitivi. Non essendo, poi, prodotto dell’evoluzione, gli elfi disprezzano gli umani perché “discendono dagli animali”. Sì, lo si può chiamare razzismo.

La loro alleanza con Nilfgaard, però, è soprattutto una questione politica: si alleano con il più forte, che finisce per vincere la guerra, e sperano di ricavarne vantaggi. Gli elfi più giovani, quelli sul centinaio di anni d’età, sono invece delle teste calde, dei violenti che credono nella resistenza armata, nella guerriglia e nel terrorismo.

Ciri è una figura centrale de Il Sangue degli Elfi (Krew elfów ) e de Il Tempo della Guerra (Czas pogardy). La sua vicenda stravolge la vita di Geralt. L’ossessione dello strigo nei confronti di questa bambina, il desiderio di farla diventare come loro facendole sviluppare e studiare i poteri magici, potrebbe essere un riflesso del desiderio di paternità dello strigo, dal momento che è ben nota la sterilità dei cacciatori di mostri a causa delle pozioni e dei veleni che assumono?

Ovviamente quella è l’unica ragione per la quale ho introdotto nella storia il personaggio di Ciri. La trama è basata su una favola universalmente nota, secondo la quale un mostro (o uno stregone) salva la vita di qualcuno e poi richiede qualcosa in cambio: “Mi darai qualcosa che troverai in casa senza aspettartelo”. Su questo è basato il racconto Una questione di prezzo (Kwestia ceny), e poi anche La spada del destino (Miecz przeznaczenia) e alla fin fine l’intera saga.

Una ragazza promessa dal fato e dal destino, la figlia adottiva di uno strigo sterile e di una strega altrettanto sterile che cambia la vita di entrambi, diventa una “damigella in pericolo”, deve essere trovata (come il Graal) e salvata… una storia valida, non le pare?

Ne Il Battesimo del Fuoco (Chrzest Ognia) Geralt e Ciri vengono divisi. Quest’ultima impara a diventare un’assassina. Possibile che la sua mente, e gli insegnamenti di Gerlat, Triss e Vesemir, siano stati così deboli da farla cambiare talmente in fretta e così facilmente?

Qui suppongo che la mia fantasia sia diventata più reale e realistica. Quello che succede a Ciri accade a centinaia di adolescenti, tra i quali qualcuno di mia conoscenza. Immaginandosi trascurati e abbandonati, credendosi respinti o esclusi, finiscono – soprattutto se iniziano a frequentare cattive compagnie – per diventare perfidi, sociopatici, mostri. E comunque sono io, l’autore, che ho inventato Ciri e il suo destino, che ha creato l’intera storia, e in quella storia Ciri doveva diventare un’assassina adolescente. Era parte del suo rito di passaggio.

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Il suo primo racconto, Lo Strigo (Wiedźmin), che poi ha dato origine a tutta la saga di Geralt, ha visto la luce nel 1986 su Fantastyka, la prima rivista fantasy mai pubblicata in Polonia. Ci racconti come è approdato alle pagine di Fantastyka: è sempre stato un fan della letteratura fantasy?

Del fantasy mi sono innamorato a prima vista. Mi ricordo di quando ho letto Tolkien per la prima volta, negli anni sessanta: Tolkien è stato pubblicato in Polonia all’inizio degli anni sessanta, praticamente in contemporanea con gli Stati Uniti. Ero rimasto completamente affascinato.

Poi ho letto la saga di Earthsea di Ursula LeGuin, Le cronache di Ambra di Roger Zelazny, la serie di Elric di Melniboné di Michael Moorcock, il ciclo di Lyonesse di Jack Vance, Le cronache di Thomas Covenant l’incredulo di Stephen R. Donaldson, Le nebbie di Avalon di Marion Zimmer Bradley. Quando, nel 1985, Fantastyka – l’unica rivista di fantasy e fantascienza in Polonia – ha organizzato un concorso letterario, ho deciso, non so perché, di scrivere una storia e partecipare. Un racconto fantasy, ovviamente. È cominciato tutto così.

Da lì in poi è stato un susseguirsi di racconti che hanno dato corpo alle prime raccolte e poi ai romanzi. Quando e come è avvenuto il passaggio alla casa editrice che la pubblica, cioè quando è diventato scrittore professionista?

Con la mia casa editrice attuale, che è la seconda, è successo tutto per caso, ci siamo incontrati fortuitamente. Appunto, ci siamo incontrati, abbiamo parlato e mi hanno fatto un’offerta. Era il 1990, se mi ricordo bene. Sono diventato professionista poco dopo, mi sembra nel 1995 o giù di lì.

Un personaggio come Geralt di Rivia è evidente come fosse destinato a bucare le pagine, tale è la forza, la personalità, il carattere che possiede. Qual è stata la sua gestazione? Ovvero, è nato da una pianificazione ben precisa oppure in modo naturale e poi ha seguito un’evoluzione in modo autonomo, man mano che nascevano le storie

All’inizio non era poi così evidente: non avevo mai pensato di intraprendere la carriera dello scrittore. Avevo concepito Wiedźmin come qualcosa di unico, per il concorso che ho menzionato prima. Mi sono classificato terzo ma dopo la pubblicazione ha avuto un certo impatto tra i lettori polacchi, che hanno cominciato a chiedere altre “storie dello strigo”. Quindi ho cambiato atteggiamento e ho iniziato a scriverne qualcuna. All’inizio una o due all’anno.

Dopo quattro anni ne avevo abbastanza da poter pubblicare una raccolta. Dopo altri due anni, una seconda raccolta. A quel punto, avendo creato una base solida, ho deciso di mettermi a scrivere qualcosa di grosso, una saga fantasy in cinque romanzi, come Le cronache di Ambra o la saga del Belgariad. Era qualcosa che al periodo praticamente non esisteva nel fantasy polacco: al periodo, le case editrici in Polonia erano fermamente convinte che valesse la pena pubblicare solo autori di fantasy e fantascienza tradotti dall’inglese, che solo quelli garantissero un profitto. Pubblicare un autore polacco era troppo rischioso per loro. Una casa editrice ha corso il rischio, e ora tutti la invidiano.

Geralt è un witcher, un cacciatore di mostri a pagamento. Con le dovute proporzioni lo si potrebbe accostare a un normale cacciatore di taglie, soltanto che dietro al suo addestramento c’è una scuola con insegnamenti marziali, con un codice etico e morale. Il confilitto interiore che viene a generarsi di volta in volta quando Geralt si trova a dover scegliere non tra il bene e il male ma tra cosa è giusto fare e non lo è e tutte le sfumature che lo sfiorano, secondo lei rende più credibile e vero il personaggio?

Certo, l’ho creato così apposta, per far nascere domande come quelle che lei mi ha appena posto. E per renderlo più interessante per i lettori.

In quale misura queste sfumature, questi conflitti, fanno la differenza tra i suoi romanzi e il resto della letteratura fantasy?

Forse non sono diversi da tutto il resto ma di certo lo sono da parte dei romanzi inseriti nel genere. Secondo me (e ho avuto i migliori maestri), qualche pensiero profondo e dei significati interessanti sono i segni di un buon romanzo fantasy: è quello che separa il buon fantasy da… be’, dai romanzi fantasy nei quali un eroe ammazza degli orchi, poi ne ammazza ancora un po’, poi si scopa una (consenziente), poi ammazza ancora qualche orco.

Il mondo in cui si muove Geralt di Rivia è molto pericoloso, letale, al di là dei mostri che lo abitano. Quanto c’è della nostra società nell’universo di The Witcher?

Un sacco.

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Il bestiario che lei ha creato è vivo, anch’esso viene fuori dalle pagine sospendendo l’incredulità in maniera impareggiabile. Come nascono nella sua mente le creature che affronta Geralt? Ci sono spunti ispirati all’immaginario della nostra realtà? I primi che mi vengono in mente sono i grifoni e le arpie.

In generale, le creature che compaiono nelle mie storie possono essere categorizzate in tre gruppi. Il primo: creature che “esistono”. Nel folklore, nelle leggende, nelle mitologie, nelle demonologie, nella letteratura o anche nei giochi di ruolo. Sono creature classiche, canoniche, e hanno nomi, aspetti, usi e habitat classici. Un drago un drago, un grifone è un grifone, un’arpia è un’arpia, un unicorno è un unicorno, e tutti sanno che aspetto hanno.

Il secondo: creature che vengono dalla mia immaginazione. Le ho inventate, ma ho dato loro nomi che esistono in natura. Soprattutto nomi di insetti. Gli insetti sono orribili, spaventosi: basta guardarli al microscopio, o semplicemente in fotografie ingrandite!

Il terzo gruppo: creature che sono del tutto prodotto della mia immaginazione, nomi compresi. A volte esiste solo il nome, fornisco al lettore solo poche informazioni, o magari nessuna, riguardo a che aspetto ha il mostro, a come si comporta. Se non ha nessuna importanza nella storia, perché dovrei preoccuparmene io?

Medioevo prossimo venturo o passato remoto, paralleli ai nostri, la magia è un comune denominatore di tutta la letteratura fantasy. Nelle sue storie essa sembra più simile alla stregoneria per cui venivano uccise alcune donne nel nostro passato, bastava che raccogliessero erbe e facessero degli infusi. Ci può spiegare cos’è e da dove viene la magia nel mondo di Geralt?

Non fornisco al lettore abbastanza informazioni e certamente nessun dettaglio, ma da alcuni passaggi nei libri si può sospettare che la magia sia comparsa in conseguenza a qualche disastro, un’enorme catastrofe chiamata “La congiunzione delle sfere”, che ha cambiato profondamente l’universo, quasi l’ha distrutto per poi ricrearlo.

Ho detto fin troppo: sia la magia che chi la usa sono così importanti nei miei libri, e li descrivo tanto in dettaglio, che non avrebbe senso continuare a discuterne qui. Se qualcuno vuole saperne di più, gli conviene leggere i libri.

Un’ultima domanda: preferisce Triss Merigold o Yennefer di Vengerberg?

Non è il posto per fare preferenze. Sia Triss che Yennefer sono personaggi di fantasia creati per servire la storia. Il loro aspetto, le loro azioni, quello che dicono e a chi parlano serve la storia, si intreccia e si interseca con la trama. Entrambe servono la trama, esclusivamente la trama, non le mie preferenze. Punto.

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